“Uno dei modi di manifestare il proprio potere è quello di riservarsi l’iniziativa nello stabilire la comunicazione e a questo proposito mi sembra molto sintomatico il modo di interagire dell’adulto con il bambino, che è colui che ha meno potere di chiunque altro. La disparità di potere tra uomo e donna si manifesta in modo preciso perché solo all’uomo è concessa l’iniziativa. I diversi livelli di potere che si producono tra gli uomini stessi, si rivelano anche attraverso la possibilità riconosciuta di prendere l’iniziativa: il superiore ha la facoltà di prendere l’iniziativa nei confronti di un inferiore e non viceversa. L’inferiore ha soltanto la possibilità di attendere che l’altro la prenda. Il modo di interagire con i bambini rappresenta in maniera clamorosa quanto siano privi di potere rispetto agli adulti. Tutti hanno licenza di prendere l’iniziativa nei loro confronti. Mentre siamo molto cauti al primo incontro con un adulto, quando incontriamo un bambino per la prima volta ci comportiamo come se lo conoscessimo da sempre bruciando seduta stante tutti i tempi graduali indispensabili per non renderci invasivi, che invece contraddistinguono il primo incontro tra due adulti. Gli dimostriamo una cordialità e una familiarità eccessive, presumendo che sia sempre e comunque disposto a entrare in comunicazione con noi, che il suo consenso non sia affatto indispensabile ma automatico, visto che ci interessiamo di lui, che la nostra disponibilità nei suo confronti, anche se spesso manierata e bamboleggiante ci renderà travolgentemente simpatici ai suoi occhi e ci aspettiamo che ci butti immediatamente le braccia al collo. Se non lo fa, lo giudichiamo un bambino poco socievole e anche poco simpatico, oppure maleducato e lasciamo cadere ogni ulteriore tentativo convertendo la nostra falsa attenzione in subitanea indifferenza. Solo se siamo particolarmente sensibili e insicuri, giudichiamo noi stessi incapaci di intrattenere con successo un bambino e ci ritiriamo avvertendo un notevole senso di disagio. Nei due casi, è avvenuto un fallimento nella comunicazione. Siamo stati incapaci di attendere che lui stesso prendesse l’iniziativa. Gli diamo un bacio non richiesto aspettandoci che venga non solo gradito ma anche ricambiato immediatamente. Qualcuno che si occupa di lui lo sollecita a rispondere al bacio e se si mostra riluttante lo rimbrotta e se ne scusa con l’interlocutore. C’è chi aggiunge al bacio una carezza sulla testa, un buffetto su una guancia o un pizzicotto, o gli fa ganascino. Chi non capisce proprio niente di bambini lo prende in braccio, vincendo la resistenza e il palese rifiuto del corpicino che si inarca nel tentativo di sottrarsi all’abbraccio non richiesto. C’è anche chi, per superare il palese irrigidimento del bambino e il suo rifiuto a produrre un sia pur pallido sorriso (che è nel suo diritto, visto che gli siamo del tutto sconosciuti), lo violenta facendogli solletico per ottenere il trionfo che il bambino scoppi a ridere, come se il riso avesse comunque il significato positivo di instaurare una relazione. C’è chi, di male in peggio, senza nessun preavviso, lo lancia per aria riacchiappandolo al volo e, stupefatto perché il bambino, ben lungi dal mostrarsi divertito, scoppia in un pianto dirotto e disperato, lo riconsegna al genitore, sbigottito per l’inaspettata reazione. E’ accaduto che, proprio a causa della disparità di potere tra noi e il bambino, gli abbiamo imposto una serie di violenze varcando la ‘soglia dell’intimità’ senza attendere i segnali di consenso, che invece attendiamo da un adulto. Se avessimo rispettato le sequenze previste e gli avessimo lasciato il tempo, è quasi certo che gli approcci verso di noi li avrebbe fatti il bambino stesso e a modo suo. Chi oserebbe iniziare una conoscenza tra adulti partendo con un pizzicotto su una guancia? O fare il solletico a una persona conosciuta in quel momento? O farla volare per aria, ammesso che il suo peso lo consentisse? Quali reazioni provocheremmo?”
Elena Gianini Belotti, Prima le donne e i bambini, Rizzoli, Cles 1980, pp. 82-83.